Valeria
Poletti
Ricercatrice indipendente
Il recente interesse dei nostri media verso la Georgia, piccolo Paese del Caucaso del Sud fermamente filoccidentale e sostanzialmente anti-russo, e dovuto alle proteste di massa inscenate nelle piazze contro una proposta di legge che richiede alle ONG finanziate per piu del 20% dall’estero di pubblicare i propri bilanci registrandosi presso il dipartimento di Giustizia come “organizzazioni che servono gli interessi di una potenza straniera”. Una legge che i nostri media etichettano come “ispirata dalla Russia” e tesa ad allontanare il Paese dall’adesione alla UE, mentre i giovani dimostranti vengono dipinti come fieri avversari di Mosca e sostenitori dei “valori occidentali”. Tutto vero, tutto così semplice?
Continua a leggereArticolo, Marzo 2024.
Il 7 ottobre 2023 Hamas e il Jihad islamica palestinese (PIJ), le milizie della Striscia di Gaza, hanno lanciato un attacco su piu fronti contro Israele, un’incursione via terra, mare e aria nelle zone meridionali del Paese che ha implicato assalti nei villaggi, uccisioni indiscriminate di civili e cattura di ostaggi. Il bilancio e stato di almeno 1200 morti e 130 persone prese in ostaggio. Hamas, al governo della striscia di Gaza, mira a conquistare l’egemonia politica su tutta la Palestina. Israele ha reagito scatenando una guerra con bombardamenti a tappeto su Gaza, incursioni dell’esercito casa per casa, distruzione di ospedali, infrastrutture e di oltre il 40% degli edifici, assassinii nelle strade, blocco degli aiuti internazionali. Operazioni che hanno lasciato, ad oggi, piu di 32.000 morti civili e un impressionante numero di feriti e amputati, una inimmaginabile devastazione del territorio e una popolazione che vaga affamata e perseguitata. Quella di Israele non e una guerra contro Hamas, ma contro i palestinesi e la Palestina. Israele mira alla definitiva cancellazione di un ipotetico futuro Stato palestinese. Al di la delle parole, i governi degli Stati Uniti e quelli di molti Paesi arabi e musulmani sfruttano il conflitto per perseguire i propri interessi economici e politici. Ai giovani palestinesi non e data altra possibilita che combattere con le armi per la propria emancipazione dall’oppressione colonialista come da quella della soggezione di classe imposta da e lites settarie. La nascita di nuove formazioni aconfessionali e nate dal tessuto sociale piuttosto che dal seno delle milizie potrebbe ridare vita alle istanze rivoluzionarie che avevano fatto del movimento di liberazione della Palestina un simbolo della lotta anti-coloniale e antimperialista.
Continua a leggereArticolo, Gennaio 2024.
Con la crisi dell’egemonia globale americana, si e aperta la sfida per un nuovo equilibrio tra gli Stati Uniti e le maggiori potenze in grado, a loro volta, di attrarre nella propria orbita satelliti costretti a ruotare attorno ad uno dei nuovi fulcri rappresentati da Russia, Cina e Iran e combattere in guerre per procura. Per tutti i competitori su scala mondiale, per le democrazie liberali occidentali a guida USANATO così come per lo “spazio eurasiatico” di Putin o per le autocrazie asiatiche la lotta e per la sopravvivenza del proprio sistema economico-politico, per il proprio modello di sfruttamento e dominio sulle classi subalterne. Mentre la paralisi dell’ONU fornisce copertura legale agli interventi armati, una volta ancora, alle popolazioni di tutti i continenti viene chiesto di schierarsi in uno dei due blocchi. Fare opposizione alla guerra impone di rompere i fronti della guerra e i patti sociali che ne permettono il concepimento. Impone di costruire la cultura della pace.
Continua a leggereArticolo, Septembre 2023.
L’eredità dellà Guerrà Freddà, terminàtà senzà che si fosse verificàto un conflitto àrmàto di gràndi proporzioni in Europà, pàrevà configuràrsi in un “nuovo ordine mondiàle” à egemonià stàtunitense nel quàle guerre à bàssà intensità restàvàno confinàte à quellà “periferià” dove l’àuto-dissoluzione dell’Unione Sovieticà àvevà àperto àmpi spàzi àll’espànsione dell’imperiàlismo occidentàle e dove le guerre condotte dàlle super e medie potenze potevàno essere definite “interventi umànitàri”. A dispetto delle àspettàtive, l’eredità dellà Guerrà Freddà e là guerrà càldà, e il suo epicentro e l’Europà. Là sensàzione diffusà che là guerrà in Ucràinà sià l’epicentro di un sistemà di conflitti àrmàti che coinvolgerànno àree sempre piu vàste del piànetà stentà à fàrsi consàpevolezzà. Mà là guerrà che àncorà percepiàmo lontànà si fà sempre piu vicinà à noi.
Continua a leggereArticolo, Luglio 2023.
Sono stati i russi e gli ucraini a scegliere di combattere gli uni contro gli altri? Sono stati i cittadini ucraini ad infiammare il loro Paese e spingerlo alla guerra civile, preludio alla guerra in corso? Sono stati i cittadini russi a decidere l’invasione dell’Ucraina? Saremo noi a determinare le condizioni per l’allargamento del conflitto in Europa?
Continua a leggereArticolo, Aprile 2023.
Per quanto la cosiddetta “opinione pubblica” si sia assuefatta all’idea che il Paese sia attore sempre più direttamente coinvolto nella guerra in Ucraina e che il conflitto opponga in realtà la NATO alla Russia, non c’è percezione comune di quanto l’Italia sia compromessa negli eventi bellici. Gli italiani comuni, lavoratori e cittadini, saranno chiamati a pagare le spese vive di questa guerra attraverso la compressione della spesa sociale e l’aumento dell’impegno economico statale finanziato dalla tassazione. La ristrutturazione del sistema produttivo a beneficio della grande industria dei sistemi d’arma e dell’innovazione tecnologica del comparto militareindustriale requisisce risorse e credito penalizzando le produzioni di base e, conseguentemente, aumentando precarietà e disoccupazione e peggiorando le condizioni di vita. Ma quanto costa la guerra? Quanto ci costa la NATO?.
Continua a leggereArticolo, Novembre 2022.
Non inaspettata, ma sorprendente per estensione e radicalità, la sollevazione delle donne iraniane in reazione all’assassinio della giovane Mahsa Amini da parte della “polizia morale” ha acceso la miccia per un movimento rivoluzionario che sta scuotendo le fondamenta del regime teocratico della Repubblica Islamica dell’Iran.
Continua a leggereArticolo, Novembre 2022.
Tra i nuovi paradigmi dell’apprendimento, insieme all’educazione digitale e all’alternanza scuolalavoro, si sta inserendo l’istruzione militare come materia semi-curriculare e l’addestramento volontario in caserma come appendice al percorso di formazione degli studenti.
Continua a leggereArticolo, Agosto 2022.
Di fronte all’invasione russa dell’Ucraina, si è emozionalmente portati a “schierarsi contro la guerra” e, nella consapevolezza della propria impotenza a fermare l’aggressione armata o ad incidere sul corso degli eventi, si opera una semplificazione estrema: contro l’aggressore vale la regola di opporre qualunque forza sia in grado di costringerlo a ritirarsi. Ci si schiera, quindi, non contro la guerra ma per la vittoria di una delle parti, quella che subisce, a costo di far vincere la massima potenza imperialista che a questa parte fornisce armi e finanziamenti per cooptarla nella propria sfera di influenza. Anche se a nessuno sfugge, infatti, la natura coloniale del sostegno americano e occidentale alla difesa dei confini dell’Ucraina violati dall’invasione coloniale della Russia, l’urgenza di reagire all’invasione si trasforma nell’imperativo (spesso ciecamente nazionalista) della difesa dei confini. Si dimentica che i confini sono una forma astratta di fronte alla realtà delle migliaia di morti, della devastazione territoriale e sociale e del futuro espandersi della guerra in Europa. Si delegano i governi a combattere, con il sangue altrui, una lunga guerra per cambiare gli equilibri politico-economi e militari nell’Eurasia. Le armi NATO non fermeranno Putin, ma apriranno nuovi fronti in Europa.
Continua a leggereArticolo, Maggio 2022.
In seguito all’invasione russa dell’Ucraina, dopo duecento anni di neutralità la Svezia e dopo più di 70 anni la Finlandia, entrambe si candidano ad entrare nell’Alleanza Atlantica, aprendo la strada ad un aumento della presenza di truppe NATO nelle regioni del Nord Europa. La neutralità come status cessa di avere una sua posizione all’interno del diritto internazionale. I piccoli Paesi e quelli meno armati si schierano, all’interno dell’antagonismo Est-Ovest, con uno dei due blocchi in un gioco pericoloso nell’Atlantico e nell’Indo-Pacifico. Nonostante le pressioni di Washington perché gli Alleati aumentino le proprie spese militari e la contribuzione alla NATO, gli Stati Uniti si assumono comunque l’onere maggiore nell’eventuale difesa di Stati deboli al confine con la Russia e degli enormi investimenti attuati per presidiare i piccoli Paesi Baltici e quelli che si affacciano sul Mar Nero: tanto impegno si può spiegare solamente con il disegno di allargare il conflitto ben oltre quello in corso in Ucraina, con la prospettiva di mettere sotto scacco la Cina. Il fatto che Mosca porti la responsabilità di un’aggressione ingiustificabile, non cancella le altrettanto gravi responsabilità di USA e NATO. Tanto più che in un futuro relativamente prossimo, dall'Ucraina la guerra potrebbe estendersi alla regione balcanica: per questo gli Stati Uniti vogliono accelerare il processo di adesione all’Alleanza di Kosovo e Bosnia-Erzegovina. L'Europa è un secondo fronte già aperto. Disertiamo!
Continua a leggereArticolo, April 2022.
La seconda guerra in Europa, dopo quella contro la Jugoslavia, sembra avere cancellato dagli schermi la crisi climatica e quella susseguente alla pandemia. Un Paese poco rilevante dal punto di vista dell’economia europea e globale, certamente non di primario interesse per gli Stati Uniti e che era di fatto lontano dal rappresentare una minaccia alla stabilità della vicina potenza Russa acquisisce, apparentemente all’improvviso, un ruolo fondamentale per gli equilibri strategici di gran parte del pianeta tanto che si parla della possibilità che il conflitto in atto tra Russia e Ucraina scateni la terza guerra mondiale.
Continua a leggereArticolo, Dicembre 2021.
Molti, “asinistra”, pensano che la mobilitazione contro il green-pass sia un’occasione da cogliere per riprendere spazio e visibilità politica appoggiandosi a questo movimento di piazza, se non per ricostruire l’egemonia persa, quantomeno per riproporsi come interprete credibile del conflitto sociale. La comparsa di una ribellione, un non-movimento apparentemente spontaneo, contro una disposizione governativa percepita come restrittiva delle libertà individuali porta a confondere, nell’osservare il fenomeno, tra rifiuto dell’”obbedienza” e vocazione insurrezionale. C’è modo di capire?
Continua a leggereArticolo, Ottobre 2021.
Dopo un anno e mezzo di trattative con i Talebani, l’esercito degli Stati Uniti e le truppe alleate lasciano l’Afghanistan. L’ultimo volo degli americani è salutato in Occidente da commenti ironici sull’avventura di 20 anni di guerra finita in una fuga precipitosa e in un indecoroso fallimento. I più importanti Paesi musulmani tacciono. Imran Kan, primo ministro del Paese che più ha sostenuto la guerra delle bande islamiste, afferma che «gli insorti hanno spezzato le catene della schiavitù». Ha ragione? L’indipendenza nazionale, quella che i Talebani hanno sempre affermato di perseguire e che ora hanno effettivamente conseguito, non è la stessa cosa della liberazione dalla schiavitù, ma è esattamente ciò contro cui USA e alleati hanno combattuto per due decenni.
Continua a leggereArticolo, Agosto 2021.
La preannunciata introduzione del green-pass (certificazione di vaccinazione o avvenuta guarigione dal Covid) come condizione per l’accesso a locali pubblici al chiuso e a mezzi di trasporto a lunga percorrenza ha scatenato una improvvisa ondata di proteste. Individui, precedentemente non contaminati da teorie cospirazioniste o tesi negazioniste, si sono ora unite alle mobilitazioni contro questa ultima misura governativa sostenendone l’illegittimità sia in quanto si presume lesiva dei diritti della persona a scegliere se e come proteggere la propria salute, sia in quanto norma che si ritiene discriminatoria delle minoranze. Senza cedere a facile ironia, trovo che qualche precisazione sia opportuna.
Continua a leggereArticolo, Dicembre 2020.
Il Libyan Political Dialogue Forum è stato convocato per il 9 novembre 2020 a Tunisi dall’ONU. Presieduto dalla diplomatica americana e rappresentante speciale delle Nazioni Unite Stephanie Williams, ha avuto un iter piuttosto tormentato per alcune settimane e riprenderà il 21 dicembre con l’obiettivo di congegnare una forma di governo di transizione che dovrebbe portare il Paese alle elezioni generali fissate per il 24 dicembre 2021. È ampiamente contestato da molta parte della società libica, dalle tribù come dai movimenti che hanno espresso nelle piazze la loro contrarietà all’ingerenza straniera e alla inosservanza del diritto all’autodeterminazione del popolo della Libia. Quali sono le parti in causa e gli interessi in gioco?
Continua a leggereArticle, April 2020.
The massive popular uprisings that have been going on for almost six months in Iraq, Iran, and Lebanon didn't find resonance in the Western media. Besides, the social and political parts of the society that should have been more sensitive to the revolutionary movement and to its aspirations remained almost indifferent. In Iraq, in particular, the scenario appears far more complex than what suggested by the few and reticent official press analyzes.The struggle led by the young generation, whatever the outcome of the short-term internal conflict will be, will lead to one irreversible evolution in the Middle Eastern world. It is nothing but the beginning.
Continue to articleArticolo, Marzo 2020.
Le imponenti sollevazioni popolari in corso da quasi sei mesi in Iraq, Iran e Libano non hanno trovato risonanza nei media occidentali ed hanno lasciato quasi indifferenti le componenti sociali e politiche che più avrebbero dovuto essere sensibili al configurarsi di un movimento rivoluzionario che, qualunque sia l’esito del conflitto interno a breve termine, porterà ad una evoluzione irreversibile nel mondo mediorientale. In Iraq, in particolare, lo scenario appare ben più complesso di quanto le poche e reticenti analisi ufficiali della stampa facciano percepire. Non è che l’inizio.
Continua a leggereArticolo, Febbraio 2020.
Uno degli slogan diffusi nelle “proteste” è “vogliamo una patria”: non si tratta di nazionalismo, ma della determinazione a liberarsi dalle catene economiche, sociali e politiche che la distruzione dello Stato iracheno ad opera della guerra di aggressione americana e occidentale del 1991 e del 2003 hanno prodotto. È una autentica volontà di autodeterminazione nazionale e popolare.
Continua a leggereArticolo, Gennaio 2020.
Se la mossa degli islamisti filo-iraniani nell’assediare l’ambasciata statunitense in Iraq mirava a spaccare l’unità della rivolta e del nascente movimento rivoluzionario riproponendo un vecchio schema di revanscismo antiamericano contrapposto all’unitarismo antisettario, la risposta di Trump, l’uccisione di Suleimani, potrebbe avere approfittato di questa manovra per rimettere all’ordine del giorno l’opportunità di un diverso orientamento ai vertici della Repubblica Islamica salvando il regime nel suo complesso.
Continua a leggereArticle, January 2020.
The siege of the US embassy by the pro-Iranian Islamist aimed to split the unity of the revolutionary movement by proposing an old scheme of anti-American revanchism and thus reducing the anti-sectarianism unity, Trump's response may have taken advantage from this maneuver to increase the chances of changing the top of the Islamic Republic’ government, saving the regime as a whole.
Continue to articleArticolo, Dicembre 2019.
Da tre mesi enormi mobilitazioni di massa in tutto l’Iraq, in tutto il Libano e nell’intero Iran, hanno travolto i limiti della rivolta per dare esordio alla rivoluzione. Non soltanto un movimento socialmente diffuso e trasversale contro le condizioni di vita, non più solamente la richiesta di riforme radicali che mettessero fine alla povertà e alla diseguaglianza, alla corruzione della classe politica, all’insufficienza e inadeguatezza dei servizi pubblici, ma la determinazione a cancellare il sistema politico dominante fondato sul confessionalismo o sull’assolutismo settario del potere. Si tratta di un passaggio che non è stato gestito da partiti politici o da organizzazioni con precedenti di leadership più o meno consolidata, ma che ha, piuttosto, visto il protagonismo di generazioni giovani e giovanissime, di disoccupati e lavoratori e di donne impegnate soggettivamente e collettivamente nel sostegno all’insurrezione. In Italia, come nella maggior parte dei Paesi europei, le notizie riguardo alle manifestazioni insurrezionali in corso in Iraq, Libano e Iran sono “silenziate” dai media (TV, stampa e agenzie). Perché? L’esercito italiano è presente in Iraq e in Libano a difesa dei “nostri interessi nazionali”. Una quantità di imprese italiane opera nella Repubblica Islamica dell’Iran garantite dal regime teocratico che non desiderano vedere rovesciato. Quanto queste insurrezioni ci interessano da vicino?
Continua a leggereArticolo, Settembre 2019.
L’emanazione del decreto legge che, nel marzo 2019, ha istituito i corsi di formazione militare per i giovani di età compresa tra i 18 e i 22 anni è stata preceduta e seguita da un numero impressionante di “gite scolastiche” degli allievi delle elementari e delle medie nelle basi e nelle caserme, da una quantità di visite alle basi NATO e attività di addestramento degli studenti delle scuole secondarie in installazioni militari, basi della marina e dell’aeronautica militare. Il provvedimento è inserito nel quadro del Decreto “alternanza scuola lavoro”, un provvedimento che cancella il concetto di “diritto allo studio” (diritto alla conoscenza) e rende la scuola subalterna a modelli produttivistici legati al profitto imprenditoriale (somministrazione di competenze); la sua estensione all’ambito militare parifica l’esercizio della guerra a qualsiasi altra attività lavorativa. Come è logico che sia, l’ambito privilegiato nel quale sviluppare la cooperazione scuolaesercito è quello accademico. La riorganizzazione dell’ordinamento universitario ha consentito il finanziamento (con denaro pubblico) di progetti di ricerca bellica portati avanti negli atenei ora delegati a fornire le competenze e le tecnologie necessarie alla gestione dei conflitti.
Continua a leggereArticolo, Dicembre 2018.
Ospitando nello scorso novembre a Palermo la Conferenza sulla Libia, la diplomazia armata di Roma ha suonato la sua marcia interventista con il flauto dell’orchestra ONU, ma ha messo le basi per portare l’intera banda sui teatri africani. La prospettiva è quella di garantirsi un posto al tavolo della spartizione delle risorse, in un’ottica coloniale, presidiando militarmente i confini allargati del cosiddetto interesse nazionale. La colonia esterna ha come corollario la colonia interna. “Disciplina” e “sicurezza” saranno i criteri con i quali il governo promette di amministrare i cittadini italiani destinati a pagare i costi dell’avventura bellica in termini di impoverimento individuale e sociale e di degrado della qualità della vita e della convivenza civile.
Continua a leggerePresentazione, aprile 2018.
Brevi note illustrate riguardo alla proiezione di forza dell’Italia nel Sahel.
Immagini e didascalie per dare un quadro sintetico delle ragioni e delle conseguenze della missione militare italiana.
Presentazione, aprile 2018.
Brevi note illustrate riguardo alle operazioni ENI in Africa.
Immagini e didascalie per dare un quadro sintetico di come ENI condiziona la politica estera italiana.
Articolo, 16 aprile 2018.
In Africa, ENI è uno degli attori in guerra.
La posizione di potere raggiunta da ENI come corporation transnazionale la mette in grado di dettare le condizioni ai governi italiani e condizionare il corso degli eventi nelle nazioni cui dirige i propri investimenti. Allo Stato resta il compito di governare le contraddizioni che il modello di sviluppo fondato sulla crescita delle multinazionali e sulla ricerca dell’espansione illimitata delle regioni sfruttabili crea al di fuori e dentro il Paese: la guerra è uno degli strumenti.
Articolo, 7 aprile 2018.
Con la conferma, da parte del governo italiano, dell’intenzione di inviare truppe in Niger la campagna d’Africa è ufficialmente cominciata.
l’Italia sta attivamente partecipando alla guerra in corso. L’allargamento dell’impegno del nostro esercito a tutta la regione sub-sahariana non è semplicemente funzionale (come dichiarato) al contenimento dei flussi migratori che attraversano il Niger e il Fezzan per arrivare ad imbarcarsi sulle coste del nord della Libia, ma piuttosto a proteggere gli interessi della nostra compagnia petrolifera in Libia e a aprire la strada per una proiezione di forza in Africa capace di competere con le altre potenze europee.
Articolo, 10 dicembre 2017.
Il prezzo e le conseguenze dell’intervento in Libia per le popolazioni africane e per i cittadini italiani. Di chi è il nostro “interesse nazionale”?
Contro i migranti schieriamo il nostro esercito nelle retrovie del fronte sul quale facciamo combattere le truppe locali per i nostri “interessi nazionali”. Per questi c’è un prezzo da pagare: la guerra all’interno delle economie capitalistiche per l’egemonia sulle risorse porta nei nostri Paesi disoccupazione e povertà diffusa, conflitto sociale e razziale, politiche securitarie. A casa nostra comincia a delinearsi la realtà della guerra.
Articolo, 25 aprile 2016.
Il Mediterraneo al centro della guerra globale, l’Italia al centro del Mediterraneo. La “fortezza Europa” sta franando sulle sue coste meridionali proprio mentre il suo mare caldo, il Mediterraneo, diventa uno spazio globale in cui, attraverso la moltiplicazione dei conflitti, le maggiori potenze entrano in rotta di collisione.
Continua a leggereArticolo, 2016.
L’Italia è già in guerra contro I popoli nordafricani e mediorientali, non contro lo Stato Islamico. Nell’imminenza dell’ingresso italiano nella prima Guerra Mondiale nel 1914, il giornale anarchico. Il Libertario lanciava la parola d’ordine “Guerra alla guerra” mentre il “neutralism socialista” consegnava I proletari al massacre imperialista. Un secolo più tardi non parrebbe troppo chiedere a noi tutti di ricostruire una coscienza internazionalista laica e un movimento di concreta opposizione alle guerre dell’imperialismo globale a cominciare dalla guerra subordinata condotta dal nostro apparato statale-militare.
Continua a leggereLibro, 2015. ProspettivaEditrice
Tre primavere dopo “quelle” Primavere, mentre i sogni di molti giovani arabi sono scivolati nell’incubo della guerra settaria o restano sospesi su di essa, diverse voci indipendenti hanno posto interrogativi riguardo all’intervento di forze controrivoluzionarie e all’ingerenza internazionale. Approfondendo l’esame degli avvenimenti, collocandoli nel più ampio contesto della fase di sviluppo del capitalismo globale e riandando alle radici, oltre che all’attualità, delle relazioni tra la destra islamica e la superpotenza americana ho provato a far emergere quelle connessioni che hanno in larga parte determinato l’incendio del Medioriente e che sono oggi alla base degli scenari di domani.
Continua a leggereArticolo in "Verso un nuovo orientalismo Primavere arabe e Grande Medio Oriente ", a cura di Gian Paolo Calchi Novati, Carocci Editore, 2012
Verso un nuovo orientalismo raccoglie i saggi di studiosi di alcune università italiane, dell’università di Tunisi e di ricercatori dello IAI e dell’ISPI e di alcuni ricercatori indipendenti. Il mio contributo ha per titolo “L’Iraq sotto il peso di una guerra mai finita”.
Continua a leggereArticolo, 2009.
Trent’anni dopo la proclamazione della Repubblica Islamica, cioè, mi permetto di dire, dopo la sconfitta della rivoluzione…. una riflessione sulle ragioni del grande, variegato e coraggioso movimento di opposizione interna alla Repubblica Islamica.
Continua a leggereArticolo, 2009.
L’Italia è già in guerra contro I popoli nordafricani e mediorientali, non contro lo Stato Islamico. Nell’imminenza dell’ingresso italiano nella prima Guerra Mondiale nel 1914, il giornale anarchico Il Libertario lanciava la parola d’ordine “Guerra alla guerra” mentre il “neutralism socialista” consegnava I proletari al massacre imperialista. Un secolo più tardi non parrebbe troppo chiedere a noi tutti di ricostruire una coscienza internazionalista laica e un movimento di concreta opposizione alle guerre dell’imperialismo globale a cominciare dalla guerra subordinata condotta dal nostro apparato statale-militare.
Continua a leggereArticolo, 2007.
Più che da altre asserzioni, diffamanti quanto false, riguardo alla figura di Saddam Hussein, l’immaginario collettivo della "sinistra" è stato suggestionato dalla leggenda, testardamente ripetuta dai mezzi di informazione nonostante risultasse contraria ad ogni logica analisi, di un presidente portato al potere dalla CIA e sostenuto dagli americani. Da dove viene questa accusa che da più di un decennio acceca l’opinione di sinistra e le impedisce di osservare la realtà storica di un Paese costruitosi dentro un processo rivoluzionario, anticolonialista e antimperialista, di cui Saddam è stato uno dei protagonisti di maggiore rilievo?
Continua a leggereIn "Rosso Baghdad", a cura di Giampaolo Calchi Novati, Il Ponte Editrice, 2007
Rosso Baghdad è un volume che riunisce gli interventi di più autori: il mio, “Il campo di battaglia, i movimenti e le strategie di lotta”, riguarda l’evolvere degli avvenimenti in Iraq, la guerra di Resistenza, il conflitto armato tra le fazioni, le milizie islamiste.
Continua a leggereLibro, 2006. Achab Editrice
La Resistenza irachena ha avuto una sua fisionomia politica ben definita e, benché sconfitta nel suo complesso, è ancora un corpo vivo all’interno del Paese avendo rappresentato il primo agente storico di una nuova fase di lotte anticoloniali. Il libro, uscito nel 2006, presenta una ricostruzione storica e un’analisi complessiva utile a comprendere l’evoluzione degli avvenimenti e la situazione odierna in Iraq.
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